Dopo la metà dell’anno 1000, Venezia inizia una radicale trasformazione del suo territorio, con la divisione in circoscrizioni territoriali, corrispondenti alle parrocchie (inizialmente nel n° di 70) poi ridotte a 30 dall’editto napoleonico del 1806. E’ dello stesso periodo l’origine dei toponimi comuni tipici di Venezia: calle, ramo, salizada, corte, campo, campiello, fondamenta, rio, piscina,…

Dal 1100 in poi, le vie di terra e d’acqua cominciano a prendere i nomi, che ancor oggi verifichiamo, da edifici sacri, monasteri, ospizi, dimore di patrizi e di popolani, dagli artigiani e commercianti, dalle insegne delle botteghe, delle osterie e delle locande, dai fondachi e dai teatri.

Nel 1171 Venezia, sotto il dogado di Vitale Michiel 2° (raggiunta la configurazione che osserviamo ancora oggi), viene divisa in 6 Sestrieri: Cannareggio, Castello, S. Marco (al di qua del Canal Grande, de citra) e S. Croce, S. Polo, Dorsoduro-Giudecca (al di là del Canal Grande, de ultra). In ogni Sestriere ci sono le contrade (in numero iniziale di 66) ciascuna costituita da un certo numero di abitazioni in vicinanza delle quali era stata innalzata una chiesa.


La dimostrazione che fino alla fine del ‘700 non c’erano numeri civici e le denominazioni stradali esistevano ma non stavano scritte sui muri (solo trasmissione per tradizione orale), trova conferma in un brano dello scrittore spagnolo don Leandro Fernàndez de Moratin che visitò Venezia nel 1794.


Nel mentre si fa risalire a giugno 1797 la comparsa dei primi “nizioleti” (sotto l’occupazione francese), il primo documento in cui si parla di numerazione e denominazione, è datato 24 settembre 1801, ed è una “Polizza d’Incanto” in cui si legge: “dovrà essere eseguita con numeri
progressivi comprendenti tutta l’intera città, tanto di qua che di là del Canale. (…) Si dovranno marcare di nuovo le denominazioni di tutte le Strade, Campi, Ponti, Corti, Fondamente tanto pubbliche che private con le rispettive Contrade, Sestrieri e Parrochhie…..”. L’unica numerazione, in
precedenza esistente, era quella romana (anche in forme errate), che si ritrova ancor oggi in alcune porte di casa, scolpita nel “sogier de sora” (cioè in quel marmo che poggia sugli stipiti).

Nell’anno 1807, viene costituito il catasto Napoleonico (ultimato nel 1859), che rileva e numera, per la prima volta, tutti gli edifici pubblici e privati.

La nuova rilevazione toponomastica (l’attuale) ha inizio nel 1838 e si conclude nel 1841 (sotto il dominio austriaco). Numera autonomamente i 6 Sestrieri e la Giudecca a parte, con lettere in rosso (in nero le precedenti del 1801 che si riferivano ai gruppi di Sestrieri, de ultra e de citra): rinnova inoltre le denominazioni di Calli, Campi, Ponti ecc…..

Dopo che Venezia fu unita all’Italia (1866), la Civica Amministrazione continuò a provvedere con cura alla denominazione stradale sia per quanto riguarda i criteri da seguire, sia per la intitolazione delle nuove aree. Nel 1921, la Giunta del Comune approvò la denominazione di parecchie nuove località a S. Elena, alla Giudecca, al Lido e Malamocco.

Dopo la seconda guerra mondiale, la Civica Amministrazione nominò una commissione di toponomastica formata, tra gli altri, da studiosi come il Lorenzetti ed il Zangirolami, con il compito di raccogliere e revisionare quanto fino ad allora era stato fatto e scritto; nella seduta del 18 maggio
1949, furono fissati i criteri generali ai quali ci si doveva attenere per una corretta revisione e trascrizione delle denominazioni stradali: (la revisione dell’intera toponomastica del Centro Storico durò fino al ’57, con elenchi conservati presso il Comune): 1) non si devono di regola italianizzare le scritte. 2) nel dubbio preferire il veneziano, lingua in cui sono nate le denominazioni. 3) avvicinare la scritta veneziana all’italiano solo in caso di cognomi e accettare parole italiane solo se dettate dall’uso prevalente, per esempio Calle dei Fabbri. La commissione stabilisce dunque di conservare la lingua veneziana.

da “Itinerari veneziani insoliti. Storia ed arte della città di Venezia-Giudecca e Isole della Laguna” di Renzo Vianello